Il risveglio della cellula dormiente del punk emiliano nei tre concerti all’Astra Kulturhaus della capitale tedesca

Il risveglio della cellula dormiente del punk emiliano nei tre concerti all’Astra Kulturhaus della capitale tedesca

Il risveglio della cellula dormiente del punk emiliano nei tre concerti all’Astra Kulturhaus della capitale tedesca

Qui a Berlino non fa più freddo come nel 1985 e dal 1989 non si vedevano più sventolare bandiere rosse con la falce e il martello. Ma se sul palco dell’Astra Kulturhaus salgono assieme Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Annarella Giudici e Danilo Fatur – accompagnati da Simone Filippi alla chitarra, Luca Rossi al basso, Ezio Bonicelli al violino, Gabriele Genta e Simone Beneventi alle percussioni – non ci sono regole o cancel culture né segni del tempo capaci di convincerci che siamo nel 2024 e che quei binari e quei fascinosi edifici fatiscenti di Friedrichshain che ospitano ancora (per poco?) club e attività culturali siano soltanto un autentico pezzo di Berlino est, tra i pochi superstiti di una città in continua trasformazione e di un mondo che non esiste più. Residui di una speranza postbellica e di quella cultura underground che si sviluppò e trovò occasione di espressione in una città crocevia di spie divisa da un muro con ovunque le tracce ancora fresche della devastazione.


A Berlino ovest, enclave occidentale all’interno della DDR che attirò migliaia di giovani da tutta Europa – curiosi, sbandati, alla ricerca di stimoli e nuove idee o semplicemente di un luogo poco costoso per vivere – venne a crearsi uno straordinario e contagioso fermento culturale sulla scia di eccezionali icone musicali: alla fine degli anni Settanta per le strade di Berlino ovest si aggirava nell’anonimato un David Bowie in fuga dalla dipendenza dalle droghe e alla ricerca di ispirazione. E con lui Iggy Pop. Ed era il 1973 quando Lou Reed pubblicò il suo meraviglioso, cupo e malinconico album Berlin che narra l’amore tossico tra Jim e Caroline, sullo sfondo della Berlino anni Settanta.
Cosa resterà degli anni Ottanta, cantava nel frattempo Raf nel 1989. Nel terzo millennio restano certamente i CCCP con tutta la loro carica di energia sempre anarchica e rivoluzionaria saldamente ancorata alla spiritualità e alla tradizione. Una questione di qualità: la qualità inossidabile di un originale e inclassificabile progetto artistico. Restano le canzoni, le preghiere e le danze, le idee, i corpi e le contraddizioni. Il carisma e la profondità salmodiante di Ferretti, il rigore e la dolcezza di Zamboni, la fisicità e la simpatica follia dell’”artista del popolo” Fatur, la seducente creatività della “benemerita soubrette” e preziosa archivista Annarella.

Da Reggio Emilia a Berlino. Da Berlino a Reggio Emilia e di nuovo a Berlino. Dove tutto finì è ricominciato. Per due volte. Allora lì dove tutto ha avuto inizio ancora finirà (o forse no) senza essere mai finita. “Siamo una cellula dormiente che si è risvegliata” – dice Giovanni Lindo Ferretti – una cellula rinsavita che ha contagiato fedelissimi estimatori e giovani esploratori. Cambia la musica, cambiano le mode, il trucco e il parrucco, ma non cambiano gli sguardi e le emozioni: i CCCP scuotono ancora anime e corpi. “Questa notte ho (re)imparato a stupirmi / C’era una volta e dunque ci sarà / (…) Solo lo stupore su di noi / lo stupore”. Quello del pubblico – per lo più italiano – per i CCCP sul palco a Ost Berlin nel 2024. Live a sud est di Pankow, CCCP in DDDR (Deutsche Demokratische Dismantled Republik). Se chiudi gli occhi e guardi Il cielo sopra Berlino hai persino l’impressione di vedere il mondo in bianco e nero e un angelo seduto in cima alla Siegessaüle. Trans Europa Express, di là dal muro pare di sentire il suono di un treno che sfreccia sui binari che collegano la Rozzemilia con Berlino est, Piazza Martiri del 7 luglio con Revaler Straße 99 a Friedrichshain.

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